Curare la persona, non la malattia
Le risorse personali, sono il nostro primo farmaco

Curare la persona, non la malattia
Lo stato psicologico che emerge in concomitanza con l’insorgere di una patologia cronica, può influire sul decorso della malattia, portando a migliorare o anche a peggiorare la condizione del paziente.
Uno degli effetti più pericolosi della cronicità è il considerarsi esclusivamente come “malati”, mettendo in secondo piano le altre caratteristiche della persona: vissuti emotivi, qualità della vita, relazioni, abitudini.
Le malattie croniche rappresentano un fenomeno in crescita, al punto da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità a individuarle come ambito di intervento prioritario per la salute pubblica. La gestione delle persone con malattia cronica necessita di un modello di cura e assistenza diversi da quello delle cosiddette “malattie acute”, proprio perché prevede la presa in carico dei pazienti sul territorio e la loro assistenza per un lungo periodo.
Quando si è affetti da un patologia croniche, in genere le prestazioni mediche non sempre includono una fase di ascolto terapeutico, o ancora meno un supporto psicologico. Dobbiamo tenere conto, però, che le reazioni alla malattia sono diverse per ogni individuo, e spesso le stesse reazioni possono variare, alterare, modificare l’aderenza e la qualità delle cure. Di fronte ad una diagnosi o al presentarsi di alcuni sintomi, infatti, la persona vive una sorta di disorientamento, in quanto deve rivedere l’immagine che aveva di sé stesso, alla luce dei cambiamenti che la patologia ha provocato.
Self care: il potenziale dell'autocura
Lo stato psicologico che emerge in concomitanza con l’insorgere di una patologia cronica, può influire sul decorso della malattia, portando a migliorare o anche a peggiorare la condizione del paziente. Nell’ambito della cronicità è dunque cruciale la centralità della persona, che va presa in carico con un approccio multimodale, integrando tutti gli aspetti riguardanti la sua vita: biologici, psicologici e sociali e favorendo autonomia e risorse personali, prevedendo dunque, un ruolo attivo del paziente. Il self-care dunque, comprende attività rivolte alla cura personale quotidiana (come lavarsi, vestirsi, nutrirsi), ma anche attività relative alla cura terapeutica (assunzione di farmaci, automonitoraggio dei sintomi, esercizi da fare a casa, ecc.) effettuate dalla stessa persona, oppure svolte da altri, come ad esempio familiari, caregivers o professionisti sanitari, sia a domicilio sia in strutture. Dunque il self-care non fa riferimento solo alla cura effettuata direttamente dalla persona su di sé, ma è un concetto allargato anche alle cure fornite ad una persona da parte di altri. Gli ''altri'' possono essere appunto, caregiver informali, come familiari, amici, volontari, che rivestono un ruolo importante soprattutto nella cura delle persone con condizioni croniche.
Empowerment
Su questa stessa linea, un altro aspetto cruciale è l’empowerment della persona malata. Un’iniziativa di empowerment è un processo che permette alle persone di:
- Padroneggiare la propria vita;
- Avere “la conoscenza, le abilità, le attitudini e la consapevolezza necessaria per influenzare il proprio e l’altrui comportamento, per migliorare la qualità della propria vita”;
- Sviluppare competenze tali per cui possano diventare indipendenti nella risoluzione dei problemi e nella presa di decisioni.
Un elemento essenziale per sviluppare l'empowerment del paziente è il processo decisionale. Charles et al. (1999) hanno descritto tre modelli di processo decisionale:
- Paternalistico (il medico decide ciò che ritiene sia meglio per il paziente, senza chiedere a quest’ultimo le sue preferenze);
- Consenso informato. Il paziente riceve (di solito dal medico) delle informazioni sulle opzioni, ha quindi entrambi gli elementi (informazioni e preferenze) necessari per prendere una decisione. Il medico non deve consigliare un trattamento, in modo da non imporre la sua volontà e quindi il processo decisionale in questo caso è in mano al paziente. Il dibattito in corso pone il quesito se il consenso informato non sia sinonimo di paziente abbandonato;
- Condivisione delle decisioni, in cui sia il paziente sia il medico contribuiscono alla decisione.
In una revisione della letteratura, Wensing et al. (1998) hanno rilevato dei punti interessanti riguardanti le possibili strategie per migliorare l’assistenza e la risposta alle esigenze del paziente, ecco un estratto dei punti principali:
- Fornire informazioni chiare e accurate per tutte le fasi dell’assistenza e del servizio offerto;
- Esplorazione attenta dei bisogni del paziente;
- Un tempo dedicato e non sfuggente a preparare e avviare la cura personalizzata;
- Coinvolgimento del paziente nelle decisioni di cura e di assistenza con colloqui dedicati con personale specializzato per questo;
- Interventi di sostegno psicologico individuali e di gruppo gruppi;
- Effettuazione di indagini tra i pazienti per comprendere come sono giunti a certe decisioni, quali fattori hanno considerato e che peso hanno loro attribuito;
- Fare sempre attenzione all’importanza della relazione interpersonale con il paziente. E questo ultimo punto è l’aspetto più prezioso.